Tirocinante con disabilità: un’esperienza che fa riflettere

D. ha 23 anni, ha una disabilità cognitiva e, come tutti i ragazzi della sua età, “si confronta con il desiderio di trovare un posto nel mondo”. Ne parla così Luca Bellavita, il tutor/psicologo che lo ha seguito e accompagnato durante il suo tirocinio come educatore con i bambini di Casa Pollicino, presso la Fondazione Protettorato San Giuseppe.

Luca Bellavita ha 37 anni, è uno psicologo clinico, specialista in psicoterapia psicoanalitica, intervento clinico e analisi della domanda. É socio fondatore dell’associazione di promozione sociale ZoeLab APS. Si occupa di cittadinanza, disabilità, politiche attive, welfare generativo. E’ lui che segue D. nel suo percorso formativo: dalla scuola all’università, presso la facoltà di Scienze dell’Educazione (Roma Tre), dove D. sta per concludere la laurea triennale come Educatore professionale e di comunità. E’ lui che lo ha seguito anche nel tirocinio, che D. ha svolto presso la Fondazione.

Dottor Bellavita, chi è D.?

D. ha circa 23 anni, si confronta con il desiderio di trovare un posto nel mondo, una dimensione produttiva all’interno dei rapporti sociali entro la quale sentirsi riconosciuto e apprezzato. Sta affrontando le difficoltà che comporta questo desiderio.

Com’è stato l’incontro con D.? In che modo lo ha aiutato a prepararsi per il tirocinio?

Bisogna fare una premessa, tanto più significativa in quanto oggi, 3 dicembre, si celebra la Giornata internazionale delle persone con disabilità. La disabilità, appunto, si celebra attraverso le giornate dedicata, ma la realtà è piena di ostacoli: quello con cui ci scontriamo spesso è che, arrivati alla conclusione dell’iter scolastico, questi ragazzi e le loro famiglie, hanno spesso davanti una strada confusa. Le famiglie si sentono disorientate, temono l’isolamento in dimensioni di regressione rispetto alle competenze costruite nel tempo. I servizi preposti alle politiche attive e i contesti di lavoro stessi faticano a pensare al “poi” di questi ragazzi. Io mi occupo proprio di questo “poi”. Così, quando D. compie la maggiore età, insieme allo studio di riabilitazione che lo segue pensiamo che possa essere interessante per lui approcciarsi al sistema universitario, per confrontarsi con altre sfide che possano arricchirlo. Purtroppo il rapporto tra D. e l’università è problematico: da un lato lui non è in grado di interagire su una serie di competenze, apprendimenti, interazioni, dall’altro i servizi preposti non sono in grado di aiutare l’università a “reinventarsi” per D. Perché la domanda “impertinente” che D. fa all’università e ai contesti che incontra è proprio quella di inventarsi nuovi modi. In questo contesto, l’ho aiutato a prepararsi per il tirocinio attraverso i rapporti con l’uffici tutorato disabili di Roma Tre, la cattedra del tirocinio, l’Ufficio tirocini e il Centro di orientamento al lavoro del municipio VII. Dall’altra parte, naturalmente, si sono attivate le relazioni e gli scambi di informazioni con i soggetti ospitanti – casa famiglia e Protettorato – per organizzare l’esperienza e definirne i modi e gli obiettivi.

In quali attività è stato coinvolto?
Prevalentemente in momenti ludico ricreativi e in un’attività di lettura di poesie e favole per i bambini della casa famiglia di età compresa tra 8 e 13 anni.

Cosa poteva offrire questa esperienza a D.? E cosa poteva offrire D. ai ragazzi?
Questa esperienza è stata pensata insieme a Centro di orientamento al lavoro perché D., in quanto capo scout, ha una storia di lavoro con i bambini, in funzione non di responsabilità ma di supporto. E’ da questa storia e da questa competenza che siamo partiti. I contesti in cui l’educatore opera sono prevalentemente situazioni di marginalità sociale, per cui, insieme al Centro di Orientamento, che conosce il Protettorato, abbiamo pensato a questo contesto, ritenendo che questa esperienza potesse essere per lui formativa. Cosa poteva offrire lui ai ragazzi? Piuttosto, credo che potesse offrire a questa organizzazione un’opportunità, così come poteva offrirla al sistema formativo: quella di ripensare prassi, metodi, obiettivi. La disabilità “disabilita” il rapporto e richiede un ripensamento anche critico e creativo su cosa stiamo facendo, sugli obiettivi a cui stiamo lavorando ecc. D. mette in crisi un sistema di funzionamento, diventando occasione di riflessione. La disabilità è l’elemento che costringe un sistema a ripensarsi rispetto anche ai suoi automatismi.

Quali sono state le principali difficoltà?
Si sono verificate situazioni in cui il livello di confusione di D. nei confronti delle emozioni dell’altro è stato tale per cui è dovuto intervenire l’educatore: questa è una delle ragioni per cui si è ritenuto di chiudere il tirocinio prima del termine, perché il livello di coinvolgimento era tale da rendere complicato lo svolgersi dell’intervento educativo. È come se D. si confondesse con le emozioni dei bambini. Non riesce a comprendere alcune dimensioni del rapporto e alcune funzioni associate al ruolo che ha rivestito all’interno di questa casa famiglia: quello di tirocinante educatore. Questo è il problema principale: in questo tipo di interventi, si richiede una competenza di analisi critica, un’attenzione ai vissuti condivisi. Per esempio, se un bambino mi manda a quel paese, non posso prendermela e reagire come fossi un amico, ma devo comprendere che quel bambino sta provocando una reazione in una figura di riferimento in cui vede un potere. Ci troviamo davanti bambini che hanno vissuto questioni estremamente problematiche dal punto di vista della violenza nei rapporti, del potere come organizzatore della relazione familiare: quindi le proposte seduttive e competitive a chi comanda, a chi è più forte sono da leggere, da interpretare, da riempire di senso. D. non è stato in grado di fare questa operazione.

E quali i successi?
Più che di successi, parlerei di “prodotti”. Il prodotto principale per D. è quello che sta realizzando ora, nel momento in cui sta rielaborando e riorganizzando l’esperienza del tirocinio in vita dell’esame che dovrà sostenere. Credo sia stata molto utile, per lui, per noi e anche per la struttura che lo ha accolto, l’esperienza di confrontarsi con il limite. Il Protettorato è stato coraggioso a cimentarsi in questo rapporto e credo che una riflessione su questa esperienza sia arricchente. Anche noi, che ci occupiamo dello sviluppo di D., ci siamo confrontati con dei limiti, di cui dovremo tener conto in una prossima esperienza di inserimento formativo o lavorativo. Ci siamo resi conto che è difficile lavorare in certe situazioni, per esempio con i bambini, quindi potrebbe essere opportuno un riorientamento. Non so se sia un successo, ma sicuramente questo è un buon risultato di questa esperienza: aver riflettuto realisticamente, non in teoria, su cosa comporta l’intervento educativo.

Se dovesse tornare indietro, consiglierebbe a D. un tirocinio presso il Protettorato? Cosa cambierebbe?
Penso che il Protettorato sia un luogo molto interessante per la formazione di un educatore. Per quanto riguarda D., non lo consiglierei, perché è evidente che il livello di complessità della richiesta e delle tematiche su cui qui gli educatori si trovano a intervenire è tale da rendere difficile una integrazione professionale, se non attraverso una riorganizzazione di alcuni modi di funzionamento della casa famiglia. Rifletterei quindi ancora di più sui problemi e sul contesto. Io ho desiderato che ci fosse una capacità di D. di non reagire ad alcune dimensioni emozionali emerse da questo intervento con i bambini, ma mi sono reso conto che era una richiesta eccessiva: era estenuante per lui non riuscire a sviluppare strumenti che consentissero di fermarsi.

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