“Programmare, pensando all’altro”: intervista alla Presidente

“Ho rimesso in funzione l’orologio sulla torretta, nel parco della fondazione: era fermo da 80 anni. Eravamo tutti emozionati quando ha fatto il primo rintocco. Per i bambini e i ragazzi, è stata una festa. Sono le emozioni che ci fanno sentire una famiglia: sono le emozioni su cui puntiamo per aiutarli a crescere sereni e sicuri”. Lo racconta, con orgoglio e un pizzico di commozione, Elda Melaragno.

La incontro nella sua stanza, illuminata dal generoso sole di dicembre: il 2021 sta per finire ed è tempo di bilanci. Ma il bilancio diventa un racconto, una storia narrata con la voce calda e concitata di chi l’ha vissuta e può andarne fiera.

Una storia iniziata alla fine dell’800 e cresciuta negli anni, correndo parallela alla storia d’Italia e delle sue leggi, ma soprattutto alla storia dell’infanzia e dell’assistenza nel nostro Paese. Una storia, curiosamente, tutta al femminile: il Protettorato di San Giuseppe nacque infatti nel 1883 per iniziativa della signora Ledieu De La Ruadière. Nel 1893 arrivarono altre due donne, la marchesa Cecilia Serlupi e suor Maria Raffaella della Croce, a prendere in mano questa storia, trasformare il Protettorato in ente morale e dargli il suo primo Statuto.

Era l’epoca dei grandi istituti, degli orfanotrofi – ricorda Melaragno – Nelle mura della fondazione venivano allora accolti 600 bambini, in dormitori con 60 letti. Oggi ce ne sono poco più di 30, divisi in cinque case, in cui hanno le loro camere, sempre gli stessi educatori e vivono come in famiglia: ci siamo puntualmente adeguati ai cambiamenti sociali e normativi che avvenivano nel nostro Paese, ci siamo reinventati ogni volta, restando fedeli e determinati nel guardare al nostro vero e unico obiettivo: prenderci cura della persona, metterla al centro del nostro intervento. Così, oggi non ci definiamo certo un istituto, ma siamo e ci sentiamo una residenza, una famiglia, una casa. Siamo costantemente in movimento, la creatività ci guida nella ricerca di strumenti e opportunità da offrire ai nostri ragazzi per non sentirsi diversi, per vivere appieno la loro vita, per immaginarsi e costruirsi il proprio futuro.

Ma se questo è il traguardo, quali sono gli strumenti e le risorse? Quali sono le “innovazioni” che la Fondazione sta portando avanti e quali i “buoni propositi per il nuovo anno? E magari le indicazioni e i suggerimenti per chi condivide questo cammino e questo lavoro, al servizio dell’infanzia, dell’adolescenza e della famiglia?

Elda Melaragno

Elda Melaragno è un fiume in piena, tanto quando racconta la storia tanto quando immagina e progetta il futuro, ma ci sono delle “parole chiave”, dei punti di riferimento che fanno da guida in questo incessante cammino.

Flessibilità

La prima parola chiave, o meglio “parola d’ordine” della Fondazione, è flessibilità.

Qui l’attenzione e l’interesse vanno alla singola persona, nella consapevolezza che nessuno è uguale all’altro e quindi anche l’intervento deve essere su misura per ciascuno. C’è una grande letizia in quello che facciamo, tutti quelli che lavorano qui, ma anche i tanti volontari che ci donano il loro tempo, sono affezionati a quello che fanno. Sappiamo tutti di non poterci sostituire alle famiglie, né vogliamo farlo: quello che vogliamo fare, invece, è creare le condizioni che permettano a ogni ragazzo di portare sulle proprie spalle il suo bagaglio di sofferenze, vivendo una vita piena di opportunità e sentendosi stimato e amato. Programmare pensando all’altro: questo è il significato della flessibilità che caratterizza il nostro lavoro.

Solidarietà

C’è un filo che unisce il passato e il presente del Protettorato: e questo può essere indicato con il termine solidarietà.

La solidarietà è il legame profondo che unisce le donne che hanno dato vita al Protettorato (non importa se giovani o adulte, di alto lignaggio o più umili) con coloro che si sono succeduti in tutti questi anni di storia. Oggi la solidarietà ha il volto dei consiglieri di amministrazione che mettono gratuitamente a disposizione della Fondazione il loro tempo e la loro professionalità, dei tanti volontari che aiutano le nostre ragazze e i nostri ragazzi nella loro quotidianità, di tutte le persone (educatori, operatori, suore) che riempiono di passione il loro lavoro.

Formazione

Studiare per conoscere. Conoscere per intervenire. E’ su questi principi che basa le sue fondamenta il Centro studi della fondazione, nato nel 2018 con lo scopo di promuovere progetti sperimentali e di ricerca e realizzare iniziative di formazione, aggiornamento e divulgazione scientifica nelle materie collegate ai servizi assistenziali per i minori e la famiglia.

Vogliamo far crescere il centro studi e promuovere la sua attività anche all’esterno, promuovendo soprattutto la formazione degli operatori (interni ed esterni alla Fondazione) che è centrale per una buona presa in carico dei ragazzi e delle famiglie. Stiamo pensando anche di introdurre l’anno sabbatico per questi professionisti, perché sappiamo quanto sia difficile e faticoso questo lavoro e quanto si renda necessaria una pausa. E poi, vorremmo portare i nostri operatori a insegnare nelle università, per colmare quelle lacune che spesso riscontriamo nei tirocinanti che accogliamo: molto preparati e motivati, ma difficilmente capaci di gestire il contesto educativo, diventandone coordinatori. Sono queste le competenze che i nostri operatori, con la loro formazione ed esperienza, possono trasmettere ai loro futuri colleghi.

Referente

E’ questa un’altra “parola chiave” nel modello che la Fondazione sta sperimentando.

Alla fine di ogni anno, facciamo una valutazione dei nostri operatori, prendendo in considerazione i vari aspetti del loro lavoro: nominiamo quindi gli educatori referenti, che diventano un punto di riferimento per la ‘loro’ casa famiglia, hanno un ruolo di maggiore coordinamento e responsabilità e ricevono anche un piccolo incentivo mensile. Restano ‘in carica’ uno o due anni, a seconda delle esigenze e delle situazioni. Sperimentiamo questo modello ormai da tre anni e pensiamo di poter dire che funziona bene e che si potrebbe esportare. Siamo orgogliosi dei nostri educatori, del modo in cui lavorano, con senso di responsabilità e di appartenenza. Sono in grado di affrontare le storie spesso terribili che arrivano nelle nostre case famiglia: bambini che, per le violenze subite o assistite, compiono gesti a loro volta violenti, come uccidere i pesci nella fontana o incollare il becco degli uccelli: tutti comportamenti assolutamente comprensibili e giustificati dalle storie che hanno vissuto e che qui accogliamo e sosteniamo, per trasformarle in un futuro sereno e ricco.

Centro famiglia

E’ questa un’altra recente “creatura” della Fondazione, divenuta presto suo fiore all’occhiello: il Centro per la Famiglia “San Giuseppe” è nato nel 2019 per facilitare la riorganizzazione funzionale delle famiglie, avendo come fine la tutela della continuità delle relazioni genitoriali, l’ascolto e la comprensione dei figli minori. È un servizio aperto alle famiglie del territorio che si trovano a vivere momenti di particolare crisi e difficoltà sul versante delle relazioni e dei legami familiari. L’attivazione degli interventi del Centro per le famiglie avviene su segnalazione o specifica richiesta da parte dei servizi sociali del territorio.

Noi vogliamo sostenere la famiglia a tutto tondo: ci appare evidente come la fragilità familiare sia ormai trasversale e sempre più diffusa. Non riguarda più solo le famiglie povere o emarginate, né soltanto quelle di origine straniera: anche nel nostro quartiere ‘borghese’ ci sono tante fragilità familiari che il nostro centro si è dovuto ampliare, perfino raddoppiare, eppure la lista d’attesa è sempre lunga. Dovrà crescere ancora: è questo un altro proposito per il prossimo anno e per i prossimi anni.

Autonomia (della Fondazione)

Autonomia è un’altra parola chiave: autonomia della Fondazione ma anche, come vedremo, autonomia del singolo.

Come amministratore, ho valorizzato e intendo continuare a valorizzare il patrimonio della Fondazione, che si basa principalmente sulle donazioni che abbiamo ricevuto e riceviamo. Una degli obiettivi che mi sono posta, forte anche della mia esperienza come Direttore regionale della Sanità, è stato quello di riuscire a garantire alla Fondazione una certa autonomia finanziaria (oltre quanto previsto dalle Istituzioni con le quali abbiamo un rapporto contrattuale) per riuscire a realizzare, ad esempio, attività integrative finalizzate a migliorare la vita dei ragazzi e ragazze al momento del termine del loro percorso in casa famiglia. L’importante è aver gli occhi aperti sui bisogni, anche su quelli nuovi, per poter subito rispondere nel modo più efficace.

Autonomia (dopo i 18 anni)

18 è un numero che spaventa chi lavora in casa famiglia: a 18 anni i ragazzi diventano ufficialmente “adulti” e possono andar via, capaci – si pensa – di camminare sulle proprie gambe.

Ma sappiamo che non è così, non possiamo metterli alla porta solo perché diventano maggiorenni. Per questo, con il CdA ci poniamo il problema da anni e lo stiamo affrontando con determinazione: intanto, abbiamo acquistato e ristrutturato un appartamento, a pochi chilometri da qui, dove i nostri ragazzi potranno andare a vivere, una volta diciottenni, fin quando non avranno raggiunto la piena autonomia. Un’autonomia che però dobbiamo aiutarli a conquistare, innanzitutto attraverso il lavoro: per questo, già ci occupiamo di trovare contesti lavorativi in cui inserirli, tramite i rapporti che abbiamo con cooperative e associazioni. Ora però abbiamo un progetto importante, che contiamo di portare conclusione il prossimo anno: la creazione, al nostro interno, di un organismo che possa svolgere attività commerciale e quindi dare lavoro. Siamo al lavoro, con avvocati e commercialisti, per realizzare questo progetto e abbiamo già individuato possibili compagni d’avventura. In questo modo, potremo realizzare ciò che maggiormente ci sta a cuore: lasciare i ragazzi solo quando potranno volare con le loro ali.

Per conoscere lo spirito e i principi della Fondazione, leggi lo Statuto

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