Minori stranieri non accompagnati, a lavorare s’impara

Arrivano in Italia da soli, non più bambini ma non ancora adulti. Non parlano l’italiano, non hanno un posto dove andare, molti sono troppo grandi per andare a scuola ma troppo piccoli per non andarci. Sono i bambini e i ragazzi stranieri che, ogni anno, ogni mese, ogni giorno arrivano in Italia da diversi Paesi, in fuga da una guerra o dalla povertà, sicuramente in cerca di una possibilità. Da anni, la Fondazione Protettorato San Giuseppe accoglie anche loro, i cosiddetti “Minori stranieri non accompagnati”. E per loro ha maturato, con il tempo, un approccio, un metodo d’intervento, che trova nella formazione e nell’inserimento occupazionale il suo centro e il suo obiettivo. Ce ne parla Massimiliano Umani, assistente sociale dell’area Msna neo-maggiorenni.

Abbiamo sviluppato un’area formativa e di avvicinamento al mercato del lavoro quando abbiamo incontrato i minori stranieri che si trovavano in Italia senza un familiare né una persona di riferimento. E’ una sfida complicata , perché molti di questi ragazzi arrivano in Italia già grandi, l’età media è di 16 anni e si sta alzando: per questo, le nostre case famiglia devono fare con loro un intervento tempestivo e concludere in poco tempo un percorso di autonomia che abbia al centro la formazione e poi l’inserimento in azienda. Questa parte è decisiva nella vita del minore, perché lo allontana dalle sirene di soldi facili, che sono molto presenti e forti nel contesto romano. A volte quella che inizia è una vera e propria battaglia tra noi, che proviamo a formare e inserire i ragazzi, e i contesti devianti, che invece cercano di portarli nel loro giro, perché è facile utilizzarli per affari illeciti, in cambio di piccole somme di denaro, che tuttavia possono essere allettanti per loro, appena arrivati, senza mezzi e indebitati con chi li ha portati fin qui.

Fondamentale è innanzitutto la formazione, perché questi ragazzi frequentano la scuola per adulti, legata principalmente all’apprendimento della lingua italiana, in cui però non acquisiscono competenze professionali. Per questo, abbiamo creato dei ponti con diverse aziende che, nel corso degli anni, hanno garantito tutoraggio, affiancamento nel percorso di tirocinio e soprattutto un aumento delle competenze non solo tecniche, ma sopratutto di vita: quelle competenze di cui cui il ragazzo ha bisogno per cimentarsi e allinearsi con un mercato del lavoro difficile e faticoso”.

Questo percorso, complesso e faticoso, ha però non soltanto l’obiettivo di offrire al minore competenze e successivamente occupazione, ma anche quello di sottrarlo a un futuro di povertà e sfruttamento. Ci spiega ancora Massimiliano:

“Altro grande obiettivo è offrire al minore un’alternativa a contratti di schiavitù, che lo vedrebbero perdente in tutto. dall’orario di lavoro alla paga: noi vogliamo dargli il potere che gli permetta di scegliere il meglio per sé. Per questo, è obbligatorio lavorare bene sulle competenze, sia sul versante formativo e tecnico sia sul versante dell’autonomia, dei rapporti con i colleghi, del rispetto degli obiettivi. E i risultati sono spesso straordinari: abbiamo tante belle esperienze di minori che, dopo un primo inserimento in azienda, sono stati assunti grazie alle capacità e alle qualità che hanno saputo dimostrare. In questo modo, i ragazzi non solo si sono assicurati un mestiere, ma anche l’opportunità di restare in Italia con un contratto di lavoro, ovvero quel documento fondamentale per una regolare e serena permanenza nel nostro Paese.

Ma in quali settori lavorativi vengono avviati e inseriti i ragazzi?

Le aree e i luoghi sono diversi: dalla ristorazione ai servizi alle persone, i ragazzi si formano e imparano e lavorare come barman, cuochi, parrucchieri, meccanici, piccoli artigiani. Prima partecipano a un corso di formazione, poi c’è il tirocinio e già in questa fase si definiscono gli obiettivi tecnici, relazionali, sociali. Il tirocinio dura dai 3 ai 6 mesi e si svolge secondo la normativa regionale, con monitoraggi mensili attraverso il tutor dell’azienda che segue il ragazzo. Noi, da parte nostra, siamo costantemente in contatto con la famiglia da una parte, con il tutor dall’altra, per cercare di affinare il percorso e contenere le criticità che spesso si presentano. Ma è proprio questa la forza del tirocinio: non essendo pressati da efficienza e produttività, possiamo concentrarci sulla formazione umana e professionale. E i risultati sono spesso incredibili: è bello rincontrare un ragazzo, magari dopo un anno che ha lasciato la nostra casa famiglia, e scoprire che ancora lavora in quell’azienda e che ormai ha la sua autonomia professionale e personale. Perché il nostro scopo è formare nuovi cittadini italiani, valorizzando le loro potenzialità e permettendo loro di essere pienamente attivi e autonomi all’interno della collettività.

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