Dopo la casa famiglia: le voci di chi ha compiuto 18 anni

A 18 anni, chi vive in casa famiglia diventa adulto. Anche se non lo è, si presume che lo sia, perché la legge vuole e prevede che esca dal percorso dell’accoglienza e sia pronto per una vita indipendente. Nei fatti, com’è facile immaginare, difficilmente è così: ragazzi di 18 anni, magari stranieri e in Italia solo da pochi anni, oppure anche italiani, ma con una complicata storia familiare alle spalle, a 18 anni rischiano di non trovare la strada giusta. E di intraprendere, quindi, quella che giusta non è. E’ per via di questa consapevolezza, è per la preoccupazione di  chi questi ragazzi li vede arrivare e piano piano crescere, che il Protettorato non lascia che questi ragazzi e queste ragazze restino soli, anche dopo che hanno compiuto 18 anni. Perché una famiglia non lascia andare un proprio figlio se non è sicura che abbia strumenti per cavarsela da solo. E il Protettorato vuole essere il ponte, per questi ragazzi e queste ragazze, tra passato e futuro: un ponte da attraversare senza fretta, ma con impegno, la determinazione e la voglio di arrivare dall’altra parte, per iniziare veramente a camminare da soli.

E’ indispensabile accompagnare i ragazzi e le ragazze in questo decisivo passaggio, nella convinzione che accoglienza faccia rima con assistenza, sì, ma sia sinonimo di inclusione. Come l’assistenza e la tutela sono fondamentali all’arrivo dei ragazzi in casa famiglia, così l’inclusione e gli strumenti per garantirla sono indispensabili nel momento della loro uscita. Andare a vivere da soli è possibile ed è anche giusto e necessario, ma c’è bisogno di farlo insieme agli amici e con un tutore che indichi la direzione, o aiuti a correggerla. E con delle competenze che aprano le porte del lavoro.

Oggi ci sono alcuni ragazzi che stanno per lasciare la Fondazione: sono arrivati qui da lontano, da terre diverse e con percorsi differenti, quasi sempre complicati. Hanno compiuto 18 anni in casa famiglia (o stanno per compierli) e qui, oggi, si sentono a casa. Sanno che presto la loro casa sarà altrove, ma sanno anche che la loro “famiglia” non li lascerà soli e li accompagnerà verso il futuro, senza tenerli per mano, ma con lo sguardo sempre attento e vigile e con la consapevolezza di aver dato loro gli strumenti per farcela.

Oggi iniziamo a raccontarveli, dando voce ad alcuni dei ragazzi che hanno compiuto 18 anni in casa famiglia. Souhail oggi ha 19 anni: ne aveva 17  quando è sbarcato a Lampedusa, dopo un viaggio affrontato senza familiari né conoscenti. 

Dopo la quarantena e un paio di mesi in un centro di accoglienza in Sicilia, sono arrivato alla Fondazione Protettorato San Giuseppe. Non parlavo una parola d’Italiano, solo l’Arabo e un po’ di Francese. Qui ho imparato tanto: ho preso la terza media, ho fatto un tirocinio e ora sta lavorando come cameriere nel ristorante di un hotel. Normalmente quando compi 18 anni, devi andare via dalla casa famiglia. Qui invece mi stanno dando un’altra possibilità. Lavoro come cameriere in un hotel. Intanto sto facendo un corso di cuoco e in futuro mi piacerebbe lavorare in cucina. Mi trasferirò in un’altra casa, dove vivrò insieme ad altri ragazzi che usciranno con me dalla casa famiglia.

Tra questi c’è Ahmed, anche lui tunisino, anche lui 19enne. Lui e Souhail sono arrivati dallo stesso Paese, sbarcati sulla stessa costa, più o meno nello stesso periodo, ma si sono incontrati e conosciuti nella casa famiglia della Fondazione Protettorato San Giuseppe, dove ancora oggi vivono, grazie a quella “nuova possibilità” che la Fondazione ha inventato per chi, come loro, compie 18 anni in casa famiglia. Ahmed aveva solo 16 anni quando è arrivato a Lampedusa. Anche lui, come Souhail, quando è arrivato a Roma non conosceva una sola parola d’Italiano:

Ho compiuto 17 anni in Sicilia dove sono rimasto 3 mesi. In Protettorato sono andato a scuola, ho compiuto 18 anni qui, tra poco prendo la terza media. Ho fatto un tirocinio, grazie al Protettorato, in una merenderia qui vicino, ora lavoro come cameriere in un hotel, dove preparo le colazioni. Mi alzo prestissimo la mattina, esco alle 5.30 e prendo l’autobus, poi torno alle 11 e mi riposo. E’ un lavoro che mi piace, spero di poter lavorare in cucina un giorno: per questo sto seguendo un corso come cuoco”. Ahmed, come Souhail, si sta preparando per uscire dalla casa famiglia: “Da quando siamo maggiorenni, facciamo quasi tutto da soli: abbiamo imparato a occuparci delle nostre cose, quindi andare a vivere da soli non ci preoccupa. E poi ci conosciamo tutti, staremo bene insieme!

Arafat è arrivato dalla Somalia, ha compiuto 18 anni  pochi mesi fa e vive ancora in casa famiglia, la stessa in cui abitano Souhail e Ahmed

Quando sono arrivato in Protettorato, ho trovato tutte persone brave, mi sono trovato bene anche con gli altri ragazzi. C’è anche un altro ragazzo somalo, abita anche lui qui con me, ma è ancora minorenne. Io sono stato due anni in Libia e lì ho imparato l’arabo, ma la mia lingua è il somalo e con lui parlo in somalo. Da quando sono arrivato qui, ho studiato tanto, per questo riesco già a parlare abbastanza bene in italiano. Ora sto facendo un tirocinio come aiuto cuoco in una merenderia qui vicino, ogni mattina. Poi il pomeriggio esco. Roma è bellissima, voglio rimanere qui. Non so cosa farò in futuro, ora per qualche mese potrò vivere ancora qui in casa famiglia, poi vedremo cosa succederà…

Orgito è arrivato dall’Albania nel 2021 e, dopo un mese in un centro di accoglienza, ha iniziato a vivere in una delle case famiglia del Protettorato. Aveva solo 16 anni. Qui ha imparato l’Italiano, ha preso il diploma di terza media e, nel frattempo, ha iniziato ad apprendere un lavoro, grazie al tirocinio nella cucina della merenderia.

Poi ho lavorato per un po’ di tempo in un ristorante e ho frequentato un altro corso per sviluppare le autonomie. Ora ho fatto un colloquio e spero di firmare presto il contratto per lavorare nella cucina in uno studentato. Uscirò da questa casa famiglia e andrò ad abitare in un altro appartamento, insieme a tutti ragazzi che conosco, che con me usciranno dal Protettorato. Ci conosciamo tutti, siamo entrati in Protettorato quasi insieme, anche se viviamo in case diverse. Penso proprio che ci troveremo bene. Il mio sogno è tornare a casa mia, ma in verità ormai qui mi sembra di stare a casa mia, anche se mi manca la mia famiglia.

Khalid è arrivato dalla Somalia nel 2020.

In Libia ho imparato un po’ di arabo, ma poi l’ho imparato meglio qui in casa famiglia, parlando con altri ragazzi che arrivavano da altri Paesi! E’ stata una bella sorpresa incontrare, qui in Protettorato, un altro ragazzo del mio Paese: non ci conoscevamo, ma abbiamo fatto subito amicizia e ora usciamo spesso insieme. E poi tra noi possiamo parlare in somalo! Ho imparato anche l’italiano, naturalmente: ho studiato tanto e ora lavoro nel ristorante di un albergo, come cameriere, ogni sera. Sto frequentando anche un corso per diventare cuoco, un giorno mi piacerebbe lavorare in cucina. Tra qualche mese uscirò dalla casa famiglia, per andare a vivere in un appartamento qui vicino, insieme ad altri ragazzi maggiorenni. Io penso che ci troveremo molto bene

Fin quando non potranno permettersi un appartamento tutto loro, fin quando non riusciranno ad avere uno stipendio sufficiente per pagare un affitto, questi e altri ragazzi potranno contare su un tetto sulla testa, un lavoro per il quale sono stati formati, degli amici nella stanza accanto, un educatore a seguirli mentre spiegano le ali e il Protettorato lì vicino, a cui poter tornare ogni tanto a far visita, come si fa con la famiglia che ti ha cresciuto e che solo quando sei pronto – e non prima di allora – ti lascia andare. 

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