Educatore oggi, educatore ieri: la risposta di Flavio a Fabio Geda

Com’è cambiato il lavoro di un educatore in casa famiglia, da 10 anni a questa parte? Quali problemi restano e quali cambiamenti sono avvenuti, in un mestiere che è sempre complesso e delicato, ma che può “non bruciarti, come dimostrano alcuni educatori come me, o addirittura anziani, che in casa famiglia continuano a lavorare”. Flavio, educatore della Fondazione, risponde a Fabio Geda. E racconta alcune strategie che, in Protettorato, aiutano gli educatori a “non mollare”

Non è facile fare l’educatore: non è facile soprattutto in casa famiglia, a contatto con bambini e ragazzi che hanno storie e situazioni complicate, a volte drammatiche. È un lavoro tanto difficile quanto, a volte, sottovalutato, destinatario di poche risorse e di poche attenzioni. Tanto che molti, chi prima chi dopo, si tirano indietro, “mollano” di fronte alla fatica e al dolore che, inevitabilmente, questo lavoro porta con sé. Una fatica che ha raccontato Fabio Geda, oggi scritto, nel libro “L’esatta sequenza dei gesti”, scritto quando era educatore in casa famiglia, dieci anni fa, e oggi ripubblicato da Einaudi. Lo abbiamo intervistato qui e le sue parole hanno colpito gli educatori della Fondazione. Così Flavio Neciaev, educatore referente dell’Isola, ha deciso di rispondergli. Ecco, di seguito, le sue riflessioni.

Dal “minor tempo” al “miglior tempo”

Ci sono diverse cose che mi hanno colpito, nel racconto di Geda. Primo, il tentativo di far stare i ragazzi meno possibile in struttura. Quest’obiettivo è ancora valido, ma qualcosa è cambiato, o almeno io lo intendo diversamente: noi non parliamo di “minor tempo possibile”, ma di “miglior tempo possibile”. Un tempo che non deve essere necessariamente breve, ma deve essere equo e, se necessario, anche lungo. Pensiamo all’utilizzo dell’articolo 25, che ci consente di continuare ad accompagnare i ragazzi anche dopo i 18 anni. Perché la struttura non è solo il luogo in cui il minore viene messo in sicurezza, ma anche e soprattutto un’occasione, per il ragazzo, di costruirsi un futuro.

Il supporto alla famiglia

Questa differenza di approccio ci permette di lavorare su una strutturazione del ragazzo, ma ci porta anche a portare avanti, di pari passo, un supporto alla famiglia: ed è questa una seconda novità, rispetto a quanto racconta Geda. Io ho iniziato a lavorare come educatore quando lui finiva: credo che il supporto a famiglia sia una novità di questi ultimi dieci anni, una nuova consapevolezza che abbiamo acquisito. Qui alla Fondazione abbiamo lo Spazio Famiglia, un tassello fondamentale nel percorso che facciamo con i ragazzi.

Il logorio personale: la partecipazione…

Geda racconta poi un educatore che si logora con il suo lavoro e che non sente la casa famiglia come casa propria. Io questo non lo sento: la casa famiglia non è casa mia e non deve esserlo, certo, ma noi combattiamo l’alienazione e il logorio rendendo partecipativo ogni passaggio, compresi la progettazione e l’arredamento degli spazi dei ragazzi e della nostra stanza. Per esempio, nella mia camera in casa famiglia ho appena una maglietta di pallacanestro incorniciata e ho portato, col tempo, diverse cose mie all’Isola, come le sedie, per esempio. Vedo lì cose che prima erano a casa mia e questo essere parte attiva nella progettazione e nell’arredamento mi fa sentire un po’ a casa…

supervisione, stabilizzazione, specializzazione

Altri strumenti che aiutano l’educatore a non “logorarsi” sono la supervisione e il supporto di un terapeuta esterno per gli educatori, che è sia d’aiuto sui singoli casi, ma anche di supporto personale, in caso di necessità, per esempio quando le storie ci toccano o ci coinvolgono particolarmente. E, ancora, la stabilizzazione del personale: noi abbiamo poco turno over, tutti contratti a tempo indeterminato. Anche la parte contrattuale è importante, come è importante dare continuità. E la stabilizzazione permette anche la specializzazione.

formazione, motivazione

Fondamentale è poi la formazione: i referenti, qui in Protettorato, hanno l’obbligo di un corso di formazione annuale. Sappiamo infatti quanto sia lacunosa la formazione accademica, soprattutto per gli educatori un po’ più grandi come me, che non hanno fatto neanche il tirocinio e vivono la discrepanza tra accademia e mondo della casa famiglia. La formazione che gli educatori ricevono p un bagaglio collettivo per la struttura in cui lavorano. E l’istituzione della figura del referente, che riceve anche un’indennità, permette di organizzare al meglio il lavoro del gruppo e di valorizzare la figura dell’educatore, che solo da poco visto riconoscergli un percorso di formazione standardizzato e un profilo professionale. .

Il problema del budget…

C’è un problema centrale, credo: è quello del budget. Noi abbiamo lo spazio famiglia, perché il Protettorato lo finanzia. Abbiamo potuto rinnovare l’arredamento con le risorse che ci arrivano ciclicamente. Non è così ovunque, ci sono studi, come quello di Casa al Plurale, che mostrano chiaramente come le risorse siano inadeguate ai bisogni. Il problema, insomma, esiste, oggi come allora.

e della cultura

Accanto al problema finanziario, c’è però anche quello culturale. E su questo, credo che oggi siano stati fatti passi avanti rispetto a dieci anni fa: è cambiata molto la percezione della casa famiglia all’esterno. Siamo passati dall’essere visti come una realtà improvvisata ad essere considerati come parte di un percorso, con una formazione specifica e un ruolo ben definito. Da qui, si può partire per costruire una casa famiglia migliore, prendendo spunto anche dalle strategie che la Fondazione, grazie alle risorse economiche ma soprattutto umane di cui dispone, ha potuto sperimentare. C’è tanto da dire, c’è da provare, c’è tanto da fare, per offrire case famiglia sempre più accoglienti ed educatori sempre più motivati e competenti.

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