Educatore, chi è costui? Il racconto di Nicola e l’urgenza di un riconoscimento

Nicola è un educatore della Fondazione Protettorato San Giuseppe, ma lavora anche in teatro. Perché? “Perché sono due ambiti più vicini di quel che sembra, accomunati dal compito di prendere messaggi e veicolarli, per creare comunicazione e relazione”

E proprio questo è, per Nicola, l’aspetto fondamentale di questo lavoro e sicuramente “la ragione principale per cui l’ho scelto: un’esigenza comunicativa. Prendere messaggi e veicolarli consente di condividere aspetti emotivi ed essere parte di un grande organismo che è l’umanità. L’educatore ha questo ruolo, soprattutto nei confronti di chi è in una situazione di difficoltà. Creare comunicazione, non a senso unico, ma bidirezionale, tra il ragazzo e la società. Un educatore ha innanzitutto il compito di stabilire questo contatto, che si chiama relazione educativa.


Il ricordo più bello? E quello più brutto?
Sono pieno di ricordi e belli e brutti: anzi, non li chiamerei brutti, ma dolorosi. Ci sono anche ricordi brutti, legati ai momenti e i luoghi in cui questo lavoro è snaturato, ci si trova a fare il burocrate, o a lavorare con tantissime persone, senza poter avere un contatto reale con nessuno, come mi è accaduto nei centri di prima accoglienza. Invece, i ricordi belli sono quelli legati ad emozioni forti, a volte dolorose, ma legate a storie che mi hanno segnato.

Quali sono le principali difficoltà in questo lavoro?
La cosa più difficile è mantenere il focus di quello che si fa, restare concentrati sulla relazione educativa, sul suo significato e sul proprio ruolo. Altra grande difficoltà è quella di non lasciarsi coinvolgere troppo dal lavoro: bisogna essere coinvolti, è vero ed è necessario, ma non eccessivamente. Bisogna sapere sempre distinguere la propria vita dal lavoro, perché questo consente di restare sani. Mantenere una vicinanza umana, ma anche una distanza sana consente di essere e di restare negli anni un punto di riferimento stabile, che non crolla mai e ripropone proprio ruolo senza gravi cedimenti.

Tre cose che servirebbero per rendere questo lavoro più riconosciuto e meno ‘complicato’?
Primo, un riconoscimento economico, che darebbe valore a quello che facciamo. Il lavoro di educatore è, a livello professionale, importante e delicato non meno di quello di un medico, o di un ricercatore: è un lavoro pieno di rischi, in cui servono tanta professionalità e tanta attitudine. Secondo, è necessaria un’attenzione politica maggiore: il nostro dovrebbe essere considerato un lavoro che sostiene la società, soprattutto nelle fasce più delicate e compromesse. Terzo, credo che questo lavoro andrebbe esteso ed ‘esportato’ in altri ambiti rispetto a quelli tradizionali, come le case famiglia o il carcere. Mi è capitato di lavorare nelle scuole, per esempio, e ho scoperto quanto gli insegnanti abbiano bisogno di un supporto a livello educativo. L’educatore, insomma, dovrebbe essere in più luoghi possibili…

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